Giunte le offerte per l’Ilva: nessuna vera schiarita nei cieli di Taranto
di Massimo Spinelli 31.03.2017 9:03 CEST L'Ilva di Taranto Reuters
Sono giunte ai primi di marzo le offerte per aggiudicarsi l’Ilva, attualmente in amminstrazione straordinaria, e lo stabilimento di Taranto. Da una parte Am Investco Italy, joint venture di ArcelorMittal e Marcegaglia (a cui si è aggiunta con una lettera di intenti Banca Intesa SanPaolo) e dall’altra parte AcciaItalia, partnership tra Jindal South West, Arvedi, Cassa Depositi e Prestiti e Leonardo Del Vecchio con la Delfin.
Lo scontro è quindi tra due colossi dell’acciaio mondiale: la ArcelorMittal con sede in Lussemburgo e l’indiana Jindal South West.
ArcelorMittal, prima azienda al mondo del settore, con una produzione di acciaio grezzo che supera 90 milioni di tonnellate e Jindal South West con una produzione nettamente inferiore, ma comunque ben sopra 10 milioni di tonnellate. Entrambi i gruppi naturalmente si dichiarano pronti ad investire diversi miliardi nell’azienda con un nuovo piano industriale ed un nuovo piano ambientale. Entrambe le proposte mirano a portare la produzione nuovamente a 10 milioni di tonnellate, quella di ArcelorMittal allargando la gamma prodotti, arrivando fino al settore automobilistico ed utilizzando al massimo tutti e tre gli altiforni e quella di Jindal puntando sull’utilizzo del gas per ridurre nel tempo l’uso del carbone.
Jindal e ArcelorMittal sono quindi pronti a sfidarsi per contendersi l’acciaieria di Taranto, neanche si trattasse del fiore all’occhiello della tecnologia italiana, una sorta di Apple della siderurgia mondiale: in realtà una fabbrica vecchia, progettata male dalla mano pubblica, spolpata con investimenti palliativi dalla mano privata e considerata sempre più a Taranto, nonostante il ricatto occupazionale, come un male non più necessario. Per il mese di aprile dovrebbe essere terminata la fase di valutazione delle offerte e per lo stesso mese ci dovrebbe essere l’assegnazione. Le due cordate si contendono l’Ilva a suon di offerte e propositi da libro dei sogni, ma qual è il contesto mondiale nel quale tali offerte si inseriscono? Qual è la situazione del mercato dell’acciaio?
La produzione di acciaio nel 2016, secondo i dati della World Steel Association, è stata complessivamente di 1.628 milioni di tonnellate, leggermente al di sopra del volume del 2015 e comunque al di sotto del picco raggiunto nel 2014: diminuisce la produzione in Europa e negli Stati Uniti, aumenta in Cina, massimo produttore mondiale con 808 milioni di tonnellate. Nonostante l’aumento della produzione, il settore dell’acciaio negli ultimi anni si è scontrato con una bassa domanda e con un eccesso di capacità produttiva: il Global Capacity Utilization Rate è passato dall’83 per cento del 2005 al 68 per cento del 2015, si produce cioè troppo acciaio rispetto alle reali necessità e come prima conseguenza la contrazione della redditività, a causa di prezzi più bassi e di maggiori costi connessi ad una maggiore difficoltà ad usufruire di economie di scala.
Secondo un rapporto pubblicato dall’OCSE a inizio 2016 “ogni ulteriore espansione di capacità sostenuta dai governi dovrebbe essere interrotta o comunque sottoposta a profonda analisi [...] e le barriere alla chiusura degli impianti meno profittevoli dovrebbero essere rimosse in quanto in grado di danneggiare l'intero settore limitando la possibilità di una ridistribuzione delle risorse verso le aziende di maggior successo.”
In questa situazione di mercato, con profittabilità ridotta ed eccesso di capacità produttiva, quanto può risultare plausibile da un punto di vista strategico la volontà dei due gruppi di raddoppiare la produzione Ilva, riportandola a 10 milioni di tonnellate? Forse si potrà investire per rendere l’acciaieria più efficiente e produttiva, forse, ma come si può immaginare che sia possibile investire per rendere l’acciaieria davvero meno inquinante se l’azienda si reggerà con ogni probabilità su equilibri economici tutti da definire e margini ristrettissimi? Difficile prevedere quindi uno scenario caratterizzato da forti investimenti per il piano ambientale, ma se anche ciò avvenisse, il pericolo per la salute dei cittadini di Taranto non sarebbe comunque scongiurato in quanto la fabbrica ha vizi storici che non la renderanno mai perfettamente compatibile con la salute della popolazione.
E purtroppo non è tutto. I vari decreti del Governo cosiddetti salva-Ilva avevano già stabilito una sorta di immunità penale ed amministrativa per il commissario straordinario ed i suoi delegati: “L'osservanza delle disposizioni contenute nel Piano di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014 [...] equivale all'adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione [...]. Le condotte poste in essere in attuazione del Piano [...] non possono dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario e dei soggetti da questo funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell' incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro.”. Con l’ultimo decreto, il decimo, tale immunità è stata estesa anche agli affittuari o eventuali acquirenti della società, per cui se i nuovi proprietari seguiranno le indicazioni del Piano connesso all'attuazione dell'AIA (Autorizzazione integrata ambientale), contestatissima da quasi tutte le associazioni ambientaliste e criticata anche dal Presidente di Regione Emiliano, godranno di una sorta di immunità sconosciuta nella maggior parte delle legislazioni in materia. L’International Society of Doctors for the Environment (ISDE) aveva del resto già sottolineato, riferendosi ad evidenze di epidemiologia predittiva elaborata da ARPA Puglia nel 2013, che “neanche l’applicazione di tutte le prescrizioni AIA garantirebbe ai residenti nell’area di Taranto un’adeguata salubrità del territorio e un livello di sicurezza sanitaria almeno simile a quello di altre zone d’Italia considerate non a rischio”.
Considerando le premesse, sono più che legittimi i dubbi sul futuro dell’acciaieria e del capoluogo ionico. Una sorta di vero e proprio accanimento terapeutico e per la città sembra che non sia previsto alcun tipo di futuro, se non quello precario ed avvelenato dell’acciaio. Eppure anche Genova si è ripresa dopo la chiusura della parte inquinante della locale acciaieria ed anche Napoli è sopravvissuta alla chiusura di Bagnoli ed in questi giorni, sull’area ex acciaieria, ripartirà la Città della scienza con il più grande planetario italiano 3D e Corporea, il primo museo interattivo europeo dedicato al corpo umano.